In un epoca cupa e indifferente noi vogliamo altro: L’Aurel ha realizzato uno spazio per ospitare persone intenzionate a prendere in mano attivamente la propria vita.
È in una valle montana, la Val di Gresta in Trentino, che trova spazio un progetto condotto da un piccolo gruppo di persone. Esse si riuniscono sotto il nome di L’Aurel, che nel dialetto arcaico locale significa gorgo, mulinello d’acqua. Sono artisti, educatori, terapeuti, contadini. La loro meta è creare e proteggere uno spazio dove, come in un’oasi, le persone possano trovare quiete e raccoglimento. L’idea è quella dell’antico convento, ma che diviene oggi il luogo per promuovere un pensare vivente. Convivialità… dunque un cerchio di cuori attraverso il quale dare orientamento alle proprie forze volitive, per promuovere azioni future sensate al bene del Sé e della Terra.
Volgendo lo sguardo attorno a noi cogliamo generalmente diffusa, anche se nelle più diverse sfumature, la tendenza alla menzogna, al brutto e alla cattiveria. L’uomo, nel suo intimo, è tuttavia un essere orientato «teotropicamente» (secondo theos, cioè rivolto allo Spirituale); questo significa che, così come un girasole per eliotropismo (elios=sole) si rivolge alla luce del sole, similmente l’uomo tenderebbe, per la natura della sua essenza, verso la verità, la bellezza, la bontà. Usiamo la forma condizionale «tenderebbe…», poiché mentre il girasole non è mosso da una sua propria volontà, l’uomo alla Bellezza pura delle leggi della Natura può accedere per «scelta», grazie al libero arbitrio.
Ora sorge la domanda: «Cosa accade oggi all’individuo, che in quest’epoca evolutiva ha conquistato forze e vita di pensiero se, rinunciando ad esse, soffoca nel materialismo ottuso verità e bellezza?». Quando non si impegnano le forze di pensiero per la comprensione dello Spirito, esse si trasformano in forze di illusione nella vita umana. Rinunciando alla forza interiore che scaturisce dall’aver colto almeno un brandello di verità rispetto ad un qualsiasi fenomeno, si giunge inevitabilmente al dubbio e alla paura, che bloccano in noi la volontà e l’azione.
Dubbio, incertezza, confusione, pensieri torbidi, si traducono in azioni pavide e inefficaci, che portano a svuotare il centro dell’uomo, il cuore , la sua essenza nel «qui e ora», per far posto ad ansia e nichilismo. Questa è la base della deviazione e della malattia. Si può dire che la presenza a sé stessi e al mondo è frutto di libera scelta: possiamo lavorare faticosamente per un risveglio o lasciarci portare dalla corrente dell’illusione materialistica. L’omissione di un pensare, sentire e volere sani non è senza conseguenza: il nocciolo dell’uomo si disgrega. Viene meno l’«essere umano» in quanto tale, cioè portatore di coscienza limpida, di un sentire partecipe e di un agire morale libero. Diventa necessario a questo punto un gesto di ribellione alla propria intima, pigra indolenza e ad una realtà intorno a noi che vuole inibire ogni genialità e iniziativa umana.
Questo intento sorregge il nostro progetto: un’oasi, un’isola dove rallentare e ricaricarsi, dove la convalescenza del corpo e dell’anima assuma il carattere della resilienza. Il termine «resilienza» deriva dal latino «resilire». Per assonanza il suo significato conduce a resistenza, ossia è la capacità di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici: imparando a coglierne il senso e a trasformarlo, un evento negativo può diventare per l’individuo una risorsa, un punto di forza.
Lo studio e l’elaborazione artistica della propria biografia, l’arte della conversazione (Goethe ne fu maestro), pittura, scultura, euritmia, così come ogni altra azione mirata al sostegno della forza vitale sono i nostri strumenti allo sviluppo di resilienza.
Dulcis in fundo… il nostro concetto di resilienza non sarebbe completo senza un ingrediente fondamentale: «Humor». Amiamo pensare che l’Aurel sia anche il nome di uno spiritello ironico e burlone, guardiano di tutto ciò che abbiamo qui sopra esposto… per guarire devo passare attraverso l’accettazione ed il perdono, ma la prova dell’avvenuta guarigione è il saper ridere della malattia stessa.